Make resources count: il ruolo delle risorse naturali per un’economia davvero circolare. «Occuparsi dei beni solo quando diventano rifiuti è una battaglia persa sia a livello ambientale che economico»

11 Giugno 2015

Riproponiamo un interessantissimo articolo di Greenreport.it

Matter matters too, una delle massime più indovinate tra le molte sfornate dal celebre economista Nicholas Georgescu-Roegen, riassume perfettamente la posizione di chi riconosce l’importanza dei flussi di materia all’interno del sistema economico. Per renderlo più sostenibile, non è possibile pensare di limitarsi alla gestione dei flussi di energia (o peggio delle emissioni climalteranti), ma è indispensabile abbracciare in toto anche l’altro aspetto fondamentale del metabolismo economico, quello che riguarda le risorse naturali: anche la materia conta.

La campagna recentemente lanciata dall’Environmental European Bureau (Eeb) si rifà a questo sacrosanto principio fin dal titolo: Make resources count. Si tratta di un’iniziativa promossa in contemporanea con la consultazione pubblica aperta dalla Commissione europea in merita alla tanto discussa normativa attesa per fine anno sul pacchetto ‘economia circolare’, e che ha il merito di provare a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema. Un compito certamente impegnativo, che dovrà mobilitare le energie dell’Eeb anche nel prossimo futuro; al momento della campagna Make resources count è disponibile poco più che la pagina di presentazione, accattivante e centrata – tranne il richiamo alla “zero-waste society”, terminologia foriera di continua confusione sui reali contenuti dello slogan –, ma con poco altro.

Una spinta in tale direzione arriva oggi dall’Italia, con l’associazione nazionale Comuni Virtuosi – da sempre attenta all’utilizzo efficiente delle risorse, come dimostra la campagna “Meno rifiuti più benessere”, o anche la storica Porta la Sporta – che coglie al balzo la palla lanciata dall’Eeb: «Se si vuole tutelare per davvero ambiente ed economia – dichiarano dall’associazione – la fase progettuale deve diventare l’oggetto su cui intervenire con legislazioni appropriate. Secondo i dati dell’EEB, l’80% dell’impatto ambientale di un prodotto viene predeterminato proprio nella fase del suo design […] Volendo misurare il grado di responsabilità dei soggetti coinvolti è evidente che il più alto livello di responsabilità è quello di un governo che non legifera in merito e, quindi, non governa quei processi. Poi viene la responsabilità dell’industria, dei circuiti commerciali e distributivi. Poi quella che attiene alla politica locale, ai vari livelli, (regione, provincia e comune) quando non assolve ai propri compiti. Infine si arriva alle responsabilità che attengono al cittadino consumatore. Quest’ultimo è però,comunque, quello che paga sempre il conto finale».

I Comuni Virtuosi, che dedicano a Make resources count un’estesa analisi, non perdono occasione per ricordare come erroneamente in Italia (e non solo) tutta l’attenzione politica sia «concentrata sulla fase finale, quella in cui i beni diventano rifiuti», un approccio che ha mostrato «ovunque i suoi limiti perchè occuparsi dei beni solamente in questa fase è una battaglia persa sia a livello ambientale che economico. Neanche la raccolta differenziata, che nell’immaginario collettivo (spesso anche dei media) coincide con il riciclo, può “correggere il tiro” di una progettazione insostenibile. La differenziata è solamente uno strumento».

Una vera innovazione, secondo l’associazione, è invece quella che «non esternalizza su altri livelli e operatori della filiera il proprio impatto o gli effetti collaterali, ma è quella che migliora ed efficientizza il sistema in cui si va ad inserire […] Appurato che il modello economico lineare attuale (estrai-fabbrichi-butti) che esternalizza impatti e costi su ambiente e comunità non è più perseguibile per i limiti fisici del pianeta, spetta ai governi e all’industria costruire le premesse per uno sviluppo sostenibile. Una drastica riduzione del consumo di materia, e non solamente di energia, è un’urgenza che invece aziende e governi non prendono per ora sul serio, quando non avversano».

La battaglia però non è persa, se non altro perché non possiamo permetterci di etichettarla come tale: abbiamo un solo pianeta a disposizione, e le sue risorse ci sono indispensabili. L’accordo sui cambiamenti climatici arrivato ieri dal G7 dimostra – anche se moltissimo rimane ancora da fare in difesa del clima e dunque, in definitiva, di noi stessi – che talvolta la politica riesce ancora a prendersi le responsabilità che le spettano: perché nel dibattito pubblico entrino anche le risorse naturali, oltre che l’energia, anche a media e cittadini è chiesto uno sforzo in più.

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