Mater-Bi buono, ma non disperdiamolo comunque

11 Luglio 2019

Analizzato l’impatto ambientale del Mater-Bi. Soprattutto in ambiente marino. Il prodotto, comunque, nasce per il compostaggio industriale, non per essere abbandonato nell’ambiente.

Il Mater-Bi disperso in mare si comporta nè più nè meno come fa la carta: a poco a poco si discioglie, a quanto pare, senza lasciare microplastiche. È la conclusione cui è giunta una ricerca commissionata (e in parte condotta) da Novamont, produttore annuo di 100.000 tonnellate di Mater-Bi (bioplastica) e 110.000 tonnellate di Origo-Bi (biopolisteri).
 
Presupposto della ricerca era capire l’impatto ambientale anche a fronte di alcune polemiche sorte nell’ultimo periodo. I dati scientifici sono evidenti ma comunque i responsabili dell’azienda, in primis Catia Bastioli, sottolineano come sia comunque una questione di comportamento: anche il Mater-Bi (leggi i sacchettini che ormai usiamo tutti i giorni) non vanno per educazione civile e ambientale abbandonati in giro. Nascono per essere compostati e quindi devono finire in un sistema di compostaggio industriale attraverso la buona pratica della raccolta differenziata. Qui, il compost diventa anche strumento per risolvere il problema del degrado dei suoli, sempre più poveri di carbonio e, quindi, sempre più infertili. Detto ciò, le analisi condotte dimostrano che il Mater-Bi non rilascerebbe microplastiche persistenti “in quanto biodegradabili completamente nel giro di 20-30 giorni, come richiesto dalle linee guida dell’Ocse“.
 
L’indagine condotta da Novamont assieme a Hydra e Università di Siena ha dimostrato che il tempo necessario per una completa sparizione dei sacchetti frutta/verdura in Mater-Bi si aggira tra circa 4/12 mesi, a seconda della natura dei fondali presi in considerazione e delle loro caratteristiche chimico-fisiche e biologiche. Ovviamente, nello stesso arco temporale, i campioni di sacchetti in PE sono rimasti del tutto integri. Poi, si è valutata anche la tossicità. Hanno fatto da cavie alghe unicellulari (Dunaliella tertiolecta), il riccio di mare (Paracentrotus lividus) e la spigola (Dicentrarchus labrax). “Il processo di degradazione del Mater-Bi” spiegano in Novamont, corroborati dai test condotti nel laboratorio Biomarkers e Impatto Plastiche del Dipartimento di Scienze Fisiche della Terra e dell’Ambiente dell’Università degli Studi di Siena, validati dalle attività del consorzio di ricerca Open-Bio presieduto da Ortwin Costenoble dell’Istituto di standardizzazione olandese Nen su finanziamento della Commissione Europea “non ha generato e trasferito sostanze tossiche negli elutriati in grado di provocare alterazioni nella crescita delle alghe unicellulari, embriotossicità nel riccio di mare e stress ossidativo o genotossicità nella spigola“.
 
Ciò non toglie che secondo Francesco Degli Innocenti, responsabile della funzione Ecologia dei Prodotti e Comunicazione Ambientale di Novamont: “tutti i prodotti devono essere raccolti e riciclati, compresi quelli biodegradabili in Mater-Bi. Niente deve essere abbandonato né in suolo né in mare in maniera irresponsabile, perché questo crea comunque un rischio ecologico potenziale. La biodegradabilità intrinseca dei prodotti in Mater-Bi rappresenta un fattore di mitigazione del rischio ecologico che non deve diventare messaggio commerciale ma ulteriore elemento di valutazione del profilo ambientale dei prodotti biodegradabili“. Comunque, i laboratori di Novamont non si danno pace: “Sono in atto delle attività per continuare a caratterizzare i materiali Mater-Bi” rivela Degli Innocenti “usando i metodi già standardizzati e applicando anche quelli in preparazione. In genere le attività nel campo della biodegradazione non terminano mai, per migliorare i test esistenti, per sviluppare nuovi test, per completare la caratterizzazione dei materiali e così via. Oggi abbiamo mostrato lo stato dell’arte, un risultato importante che valeva la pena condividere ma che non è un punto di arrivo“.

 

[fonte: greenplanner.it]