Sacchetti bio: l’Italia vuole un’alternativa gratuita e riutilizzabile (ma a oggi non è permessa)

9 Gennaio 2018

I sacchetti biodegradabili a pagamento attualmente non si possono riutilizzare, nè sono ammesse le retine che si vedono in altri Paesi. Problemi di natura igienico-sanitaria, sembra. Il Ministero dell’Ambiente ha emesso una circolare interpretativa della legge ma di fatto non prende posizione, rimpallando alla Salute, che tuttavia non sembra orientato a concedere il riuso, ma eventualmente solo al monouso portato da casa. Che possiamo fare dunque con questi sacchetti?

La grande distribuzione aveva già espresso dubbi sull’opportunità di concedere il riutilizzo dei sacchetti dell’ortofrutta, esprimendo perplessità di natura sanitaria (rischio di contaminazioni del cibo), ma finora la legge, che di per sè non lo vieta, era rimasta orfana di posizioni ufficiali in merito, nonostante sia ormai, dal 1 gennaio, attuativa. I ministeri competenti in materia sono Salute e Ambiente, ma quest’ultimo, di fatto, rimpalla quasi interamente all’altro dicastero.

“Ancorché qualunque pratica volta a ridurre l’utilizzo di nuove borse di plastica risulti indubbiamente virtuosa sotto il profilo degli impatti ambientali, si ritiene che sul punto la competenza a valutarne la legittimità e la conformità alle normative igienico-alimentari richiamate nel citato comma 3 dell’art. 226-ter spetti al Ministero della Salute” si legge infatti nel testo.

Trapela comunque un orientamento sfavorevole al riutilizzo. “Lo stesso Dicastero, allo stato, è orientato a consentire l’utilizzo di sacchetti di plastica monouso, già in possesso della clientela, che però rispondano ai criteri previsti dalla normativa sui materiali destinati a venire a contatto con gli alimenti. Tali sacchetti dovranno risultare non utilizzati in precedenza e rispondenti a criteri igienici che gli esercizi commerciali potranno definire in apposita segnaletica e verificare, stante la responsabilità di garantire l’igiene e la sicurezza delle attrezzature presenti nell’esercizio e degli alimenti venduti alla clientela”.

Nell’attesa della posizione ufficiale del Ministero della Salute, cosa possiamo fare?

Altre perplessità che circolano in rete riguardano il riutilizzo come sacchetti per l’umido. Alcuni Comuni stiano vietando questo impiego per problemi tecnici. Sicuramente esiste il problema dell’etichetta che va tolta prima di usare il sacchetto per l’umido (con alto rischio che questo si rompa), oppure eventualmente attaccata sui manici, questi da tagliare prima del riciclo. Questa operazione, comunque, va fatta con attenzione, perchè il codice a barre dell’etichetta deve essere ben visibile al rilevatore in cassa.

Ma quali sono i problemi che hanno spinto alcuni Comuni a vietare il reimpiego dei sacchetti per l’umido?

Esiste una soluzione definitiva per la questione etichetta? Per chiarire anche questi dubbi abbiamo ascoltato il parere di Stefano Ciafani, Direttore generale di Legambiente, e contattato Novamont, tra i maggiori produttori delle bioplastiche che si utilizzano per la produzione dei sacchetti.

“I sacchetti biodegradabili e compostabili si possono usare per l’umido – afferma con determinazione Stefano Mambretti, che in Novamont si occupa della gestione della raccolta differenziata – e infatti vengono usati. Il sacchetto, quando arriva ad un impianto di compostaggio, subisce percorsi di trattamento, diventando compost (usato come fertilizzante, N.d.R.)”.

“Se l’impianto di compostaggio ha un sistema anaerobico (senza ossigeno, N.d.R.) avviene prima la produzione di biogas e poi il compostaggio del digestato. Se l’impianto, inoltre, ha un sistema ad acqua, ovvero è adatto al trattamento di liquido, il sacchetto viene tolto in testa, macinato, e riutilizzato nella fase 2, ovvero quando il digestato esce e viene trattato per la produzione di compost. I sacchetti infatti si degradano in ambiente ricco di ossigeno, a differenza degli impianti anaerobici adatti alla produzione di biogas”.

Ma allora perchè in rete circolano notizie di presunti problemi agli impianti? “Se c’è un problema all’impianto – continua Mambretti – è possibile che sia la scarsa qualità della raccolta differenziata. É chiaro che se in testa all’impianto, oltre a sacchi compostabili, ci sono anche quelli non compostabili, il processo non funziona”.

E il problema dell’etichetta?

Mambretti stesso suggerisce quanto avevamo suggerito noi, ovvero di attaccare l’etichetta al manico in modo da poi poterlo tagliare e usare il sacchetto per l’umido. Ma possiamo fare di meglio?

“Esistono etichette compostabili – afferma Ciafani – Sarebbe sufficiente che il Ministero dell’Ambiente emanasse un’indicazione secondo cui si devono usare solo queste, per evitare di complicare troppo la vita al consumatore. In questo modo il problema non si porrebbe proprio”.

Come ci aveva già detto Ciafani, attendiamo ancora che i Ministeri competenti sulla contestata legge, ovvero Ambiente e Salute, si pronuncino su diverse questioni, prima tra tutte il possibile riutilizzo dei sacchetti, per esempio tramite le retine che si vedono in Svizzera, distribuite dalla stessa Coop, che però qui, almeno per ora, non intende proporle per questioni igieniche. La circolare oggi emessa dal Ministero dell’Ambiente non è affatto risolutiva, come lo stesso Ciafani ha commentato in una nota.

Purtroppo però sembra che il Ministero della Salute si sia espresso a favore del divieto di portarli da casa proprio per queste ragioni, mentre quello dell’Ambiente stia cercando di lasciare la libertà ai consumatori di portarli da casa per la loro frutta e verdura.

Insomma una gran confusione ancora su molti aspetti, che potrebbero essere chiariti con una “semplice” circolare chiara, in grave ritardo visto che la norma è ormai attuativa.

Ma almeno abbiamo una certezza: magari con qualche accorgimento (in attesa di soluzioni migliori) il sacchetto possiamo usarlo per l’umido, risparmiandoci di comprare i sacchetti nuovi ad un costo ben maggiore.

 

[fonte: greenme.it]